inquinamento indossato

Nell’era della velocità e del consumo sfrenato, l’industria della moda ha subito una   trasformazione radicale, incarnata nella  cosiddetta fast fashion. Questa forma di  produzione, capace di immettere sul mercato  capi di abbigliamento a basso costo e in tempi   rapidissimi, risponde a un bisogno incessante di novità. Tuttavia, sotto la superficie di questo  fenomeno si cela una realtà allarmante: il costo   ambientale della fast fashion è incalcolabile, e la  sua crescita esponenziale rappresenta una delle minacce più gravi per il pianeta.

L'industria della moda, tradizionalmente associata all’estetica e all’espressione  individuale, è oggi responsabile di un modello di produzione insostenibile, basato sull’iperconsumo, lo spreco e l’impoverimento delle risorse naturali.

Questa tendenza non solo influisce sul nostro rapporto con i beni materiali, ma ha effetti devastanti sull’ecosistema globale, generando un impatto ambientale di proporzioni epocali.

 

L’uso intensivo delle risorse naturali:

Alla base della fast fashion vi è un consumo sfrenato di risorse naturali, con conseguenze ambientali notevoli. La produzione di tessuti, anche quelli etichettati come "sostenibili", comporta un uso intensivo delle risorse e la generazione di rifiuti chimici. Ad esempio, il processo di trasformazione della cellulosa in fibre tessili richiede l'impiego di prodotti chimici tossici, come il solfuro di carbonio e l'idrossido di sodio, che possono contaminare le acque e i terreni circostanti le fabbriche.

La deforestazione è un ulteriore problema critico: per ottenere la materia prima necessaria per questi tessuti, ogni anno vengono abbattuti oltre 150 milioni di alberi. Questo fenomeno contribuisce alla perdita di biodiversità, all'erosione del suolo e alla riduzione delle riserve di carbonio delle foreste, aggravando la crisi climatica.

L'industria tessile è anche un grande consumatore di risorse non rinnovabili. I materiali sintetici, derivati dal petrolio, sono particolarmente problematici. La produzione di fibre sintetiche richiede enormi quantità di energia e acqua, con conseguenti emissioni di gas serra. Inoltre, la produzione di queste fibre rilascia microplastiche nei corsi d'acqua, che sono difficili da filtrare e causano danni agli ecosistemi acquatici.

A livello globale, l'industria tessile è responsabile di circa il 10% delle emissioni totali di gas serra, producendo circa 1,2 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno. Questo dato supera le emissioni combinate del trasporto aereo e marittimo internazionale, rendendo l'industria tessile una delle principali cause del cambiamento climatico.

Il nostro brand, pur utilizzando materiali che non sono esplicitamente etichettati come sostenibili, si impegna a selezionarli con attenzione, privilegiando la loro localizzazione e minimizzando l'impatto ambientale. Tuttavia, dobbiamo riconoscere che al momento non esistono alternative che riescano a coniugare pienamente sostenibilità e costi accessibili. Continuiamo a cercare soluzioni innovative che ci permettano di ridurre l'impatto ambientale senza compromettere la qualità e l'accessibilità dei nostri prodotti.

 

Microplastiche e l’inquinamento invisibile

Tra le conseguenze più subdole e insidiose della fast fashion vi è l’inquinamento da microplastiche, piccole particelle che si liberano dalle fibre sintetiche ogni volta che un capo viene lavato. Le microplastiche, invisibili a occhio nudo, si infiltrano nei sistemi idrici e finiscono per contaminare gli oceani. Secondo un rapporto dell’International Union for Conservation of Nature (IUCN), circa il 35% delle microplastiche presenti negli oceani proviene dal lavaggio di capi sintetici.

Questo tipo di inquinamento, benché invisibile, ha conseguenze devastanti sull’ecosistema marino. Le microplastiche vengono ingerite dai pesci e dagli altri organismi marini, risalendo la catena alimentare fino all’uomo. Le implicazioni di questo fenomeno non riguardano soltanto l’ambiente, ma pongono interrogativi inquietanti anche sul fronte della salute pubblica.

 

Spreco tessile: il peso del superfluo

Un altro aspetto cruciale dell’impatto ambientale della fast fashion è rappresentato dall'enorme quantità di rifiuti tessili che genera. La rapida obsolescenza dei capi, spesso frutto di una qualità volutamente bassa per ridurre i costi di produzione, porta a un ciclo di vita estremamente breve degli indumenti. Si stima che, a livello globale, il consumatore medio acquisti il 60% in più di capi rispetto a 15 anni fa, ma che ogni indumento venga indossato per un periodo di tempo significativamente inferiore. Questa dinamica alimenta un circolo vizioso di produzione e smaltimento che grava in modo insostenibile sul sistema ambientale.

Secondo la Ellen MacArthur Foundation, ogni anno vengono gettati circa 92 milioni di tonnellate di rifiuti tessili, una cifra impressionante che rappresenta una delle forme di spreco più evidenti del nostro tempo. Ancora più allarmante è il fatto che meno dell'1% di questi materiali venga riciclato per produrre nuovi capi di abbigliamento, un dato che mette in luce l’inefficienza del sistema di recupero e riciclo attuale.

Gran parte di questi rifiuti finisce nelle discariche o, in molti casi, viene esportata nei Paesi in via di sviluppo, dove sovraccarica le infrastrutture locali e genera ulteriori problemi ambientali e sociali. L’esportazione di abiti usati, lungi dall’essere una soluzione sostenibile, spesso trasferisce il problema ambientale da una parte del mondo all’altra, senza affrontarne le cause strutturali.

 

Iperproduzione e il culto del consumo

Il motore principale di questo sistema è l’iperproduzione. Le grandi aziende di fast fashion immettono sul mercato miliardi di capi all’anno, incentivando i consumatori a rinnovare continuamente il proprio guardaroba. Alcuni marchi lanciano fino a 52 micro-stagioni di moda all’anno, creando una pressione costante per l’acquisto di nuovi prodotti. Questo ritmo insostenibile di produzione e consumo non solo esaurisce le risorse naturali, ma alimenta una cultura del superfluo che ha conseguenze devastanti sul piano ambientale e sociale.

Il prezzo irrisorio di questi capi, presentato come un vantaggio per il consumatore, nasconde in realtà un modello economico basato sullo sfruttamento delle risorse e del lavoro. La scarsa qualità degli indumenti prodotti li rende destinati a durare poco, alimentando una spirale di acquisti compulsivi che perpetua il ciclo di spreco.

 

La necessità di un cambiamento radicale

Di fronte a questo scenario allarmante, diventa imperativo ripensare il nostro rapporto con la moda e adottare soluzioni che possano mitigare l’impatto ambientale della fast fashion.

La nostra azienda rappresenta un’alternativa che guarda al futuro con responsabilità e consapevolezza. Ci discostiamo radicalmente dalle logiche di produzione di massa e dalle mode effimere, promuovendo un concetto di moda fondato sulla sostenibilità, la qualità e la trasparenza.

Crediamo nella celebrazione dell’artigianalità Made in italy, il rispetto per le risorse naturali e per chi le lavora, ogni nostro capo è il risultato di una filiera etica, realizzata con materiali selezionati per ridurre al minimo l’impatto ambientale e garantire la durabilità nel tempo.

Per questo, abbiamo scelto di non essere un brand stagionale, evitando il ciclo incessante di nuove collezioni dettate dalle tendenze del momento. I nostri capi, al contrario, sono pensati per durare nel tempo, sia per la qualità dei materiali che per il loro design essenziale e senza tempo. Ogni collezione nasce con l’obiettivo di superare le imposizioni stagionali e i trend, offrendo capi versatili e duraturi, che possano accompagnare chi li indossa per anni, senza mai perdere il loro valore estetico o funzionale.

La nostra visione è chiara: creare abiti che abbiano un significato, che non siano soltanto un acquisto impulsivo ma un investimento consapevole verso un futuro migliore. Ci impegniamo a costruire una relazione autentica con i nostri clienti, offrendo loro capi che riflettano i valori di un mondo più giusto, più sostenibile e meno schiavo del consumismo. Per noi, la moda è un atto di cura: per le persone, per il pianeta e per le generazioni che verranno.

 

Fonti:

Greenpeace. (n.d.). Detox Campaign. Retrieved from https://www.greenpeace.org/

World Wildlife Fund (WWF). (n.d.). Sustainable Fashion. Retrieved from https://www.worldwildlife.org/

Journal of Cleaner Production. (n.d.). Sustainability in the Fashion Industry. Retrieved from https://www.journals.elsevier.com/journal-of-cleaner-production

Environmental Science & Technology. (n.d.). Environmental Impacts of Synthetic Textiles. Retrieved from https://pubs.acs.org/journal/esthag

Ellen MacArthur Foundation. (n.d.). Circular Fashion. Retrieved from https://www.ellenmacarthurfoundation.org/

Fashion Revolution. (n.d.). Fashion Transparency Index. Retrieved from https://www.fashionrevolution.org/

Patagonia. (n.d.). Environmental & Social Responsibility. Retrieved from https://www.patagonia.com/

Stella McCartney. (n.d.). Sustainable Practices. Retrieved from https://www.stellamccartney.com/

Vogue Business. (n.d.). Sustainability in Fashion. Retrieved from https://www.voguebusiness.com/

The Guardian. (n.d.). The Impact of Fast Fashion. Retrieved from https://www.theguardian.com/

Textile Exchange. (n.d.). Sustainable Materials. Retrieved from https://textileexchange.org/

Sustainable Apparel Coalition. (n.d.). Higg Index. Retrieved from https://apparelcoalition.org/

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